Festa annuale del Lazio Club Quirinale e solidarietà per Anticipo Onlus
Festa annuale Lazio Club Quirinale e solidarietà per Anticipo Onlus
Sulle pareti del bar San Callisto campeggiano due poster, uno della S.S. Lazio stagione 1976/77 e l’altro della As Roma dell’anno successivo. Sono attaccati con le puntine bianche sul doghettato color caramello che le ricopre. Sopra la macchina frigo delle bevande fa bella mostra la coppa vinta dal leone di Trastevere nell’ultimo torneo dei Rioni. Sull’altro lato del bar due foto del trasteverino Bruno Giordano con la zazzera al vento. La prima lo ritrae adolescente, sul campo del Don Orione, dove all’interno del murales delle suppliche che ricopre fino all’inverosimile la “Madonna dell’Orazione” c’è anche quella che omaggia l’occhio lungo del Flaco Flamini, attento osservatore dei “mejo fiori de’ li giardini”. L’altra è datata Ottobre 1975 che bagna il suo esordio in serie A con un goal allo stadio Marassi di Genova. Marcello con orgoglio le custodisce vicino alla cassa e le mostra con fierezza ai clienti del bar, recitando a memoria la dedica impressa con il pennarello celeste ... “A Marcello con amicizia, Brunogoal”
Bruno è ripassato di là all’indomani dell’esordio in serie A. Le mura del bar San Callisto e i vicoli del quartiere trasudano orgoglio per un loro figlio che ce l’ha fatta. Bruno Giordano ha “passato ponte”. E’ partito dal rione “oltre il Tevere”, ha attraversato ponte Sisto, ed è giunto al centro dell’Urbe, dove ora i monticiani e i pignatari, oltre ogni rivalità campanilistica, riconoscono le gesta del “pischello trasteverino”. Trastevere è il rione che sta aldilà del Tevere. Il fiume biondo lo separa dal resto del mondo e nulla fuoriesce dal quel dedalo di vicoli stretti che si attorcigliano. Il campanile di Santa Maria e il fontanone di Piazza Trilussa sono la catarsi che trattiene ogni velleità di fuga. Definiscono quel microcosmo, fatto di bar, osterie, marinai, cascherini e pesciaroli. I trasteverini stanno di quà e tutti gli altri sono sulla sponda destra del Tevere. Alla “renella” il fiume rallenta e ogni giorno inesorabile deposita sabbie limacciose, rendendo la distanza tra le due rive sempre più ampia. Sono due mondi separati che solo un ponte come per metafora può avvicinare. “Passare ponte” allora diventa un imperativo per chi vuole rompere gli argini e fondersi al resto del mondo. In fondo la palla rotola alla stessa maniera, sulla riva destra come su quella sinistra. E Bruno, non a caso, non fa differenza, calcia magnificamente con entrambi i piedi. Danza sulle punte leggero intorno al pallone, in una bellezza estetica senza paragoni. Petto in fuori e mento in alto, con lo sguardo sempre rivolto verso la porta. E’ un concentrato di classe, un numero 10 direbbero gli addetti ai lavori. La rapidità di esecuzione e l’ambivalente imprevedibilità nell’uso degli arti inferiori lo rendono immarcabile ed infallibile sotto porta. E’ un bomber direbbero altri, con la numero 9 sulle spalle. Non è nè l’uno nè l’altro, o forse è tutte e due o più semplicemente è Bruno Giordano, per tutti Brunogoal. Capocannoniere ad ogni livello, in cadetteria come in serie A, campione d’Italia con la Lazio primavera nella stagione 75/76 insieme agli altri magnifici aquilotti Di Chiara, Montesi, Agostinelli e Manfredonia. “E’ il giocatore italiano più forte con cui abbia mai giocato” dirà un giorno Maradona. L’esaltazione del gesto tecnico lo fa apparire come un giocatore sudamericano. Diego Armando nel barrio sperduto e proletario di Buenos Aires, Bruno nell’ancestrale culla della romanità della Città Eterna. Due emisferi così diversi ma legati insieme da un unico linguaggio, quello di un pallone che ad ogni latitudine avvicina sentimenti e culture. E’ il calcio dei bambini, delle strade polverose e degli oratori, delle accademie giovanili, della Bombonera e dello Stadio Olimpico, della Doce e della Curva Nord. Luci ed ombre, istinto e sacrificio, allegria e tristezza, esaltazioni e cadute. Come quelle inferte da Goiketxea al Camp Nou o di Bogoni ad Ascoli, così tremendamente simili e violente. Sarà proprio un messaggio di Maradona rivolto a Giordano dopo il grave infortunio a legarli insieme in una “MaGiCa” combinazione.
Bruno Giordano è il giocatore simbolo di una Lazio che muore e rinasce ogni volta. Esordisce nella corta scia della Lazio Campione d’Italia del ’74 con un goal sotteso dal passaggio della stella Chinaglia in procinto di diventare a stelle e strisce. Ne raccoglie il testimone al centro dell’attacco in un naturale avvicendamento generazionale. Vince il tricolore giovanile nel 1976 e assiste all’implosione funesta della banda del ’74, dalla scomparsa di Maestrelli alla fine tragica di Re Cecconi. Vince la classifica dei cannonieri della serie A nel 1979 per poi finire nei gangli della serie cadetta. Guida la risalita nella massima serie nel 1983, risultando ancora una volta il più prolifico sotto porta. Ad Ottobre gioisce per il ritorno in Nazionale ma a Dicembre si frattura tibia e perone nel giorno in cui tutta Italia festeggia il nuovo anno. Rientra in campo a tempo di record. All’ultima giornata risorge dalla ceneri e conduce la Fenice biancoceleste ad una salvezza insperata contro il Pisa. Il vaticinio si abbatte nuovamente sulla squadra dell’anno successivo, costruita con obiettivi europei sui pilastri di Manfredonia, Giordano, Laudrup e Batista. Al cospetto delle vicissitudini societarie e delle immancabili difficoltà economiche la squadra inesorabile ridiscende negli inferi della serie B e per Bruno Giordano si chiudono definitivamente le porte della sua carriera in biancoceleste. Vengono cedute le sue prestazione sportive per far fronte ad una crisi societaria sempre più profonda. In un decennio di vita biancoceleste ha vissuto più di sette vite, scolpite in una memoria di ferro, pronte a riaffiorare ad ogni accenno di ricordo del passato. Bruno Giordano ha gioito e sofferto nel periodo più travagliato della storia della Lazio. Non ha mai potuto competere per grandi obiettivi, ma ciononostante è di diritto nel novero dei grandi bomber della storia della Lazio, da Piola a Puccinelli, da Chinaglia a Signori, da Klose ad Immobile. Quello che più conta è che ancora oggi i tifosi della Lazio ne ricordano le gesta e apprezzano, travalicando ogni titolo sportivo raggiunto, la sua collocazione dichiarata tra i tifosi stessi. Ovunque appaia in radio ed in tv, soprattutto in quelle nazionali, viene spontaneo associarlo alla Lazio e con un pizzico d’orgoglio viene da sussurrare “quello è Bruno nostro”.
Sono passati ormai 50 anni e Bruno non vive più a Trastevere. Ha passato ponte da un pezzo, ma di tanto in tanto si riaffaccia, per una pastarella farcita da Valzani o per una semplice passeggiata tra i vicoli stretti del quartiere. Lo fa anche d’estate, generalmente a luglio quando la “Madonna fiumarola” rientra in processione nella Chiesa di Sant’Agata. De noantri è rimasto ben poco, gli strilloni, l’arrotino, le donne in finestra, le antiche botteghe artigiane, le pizzicherie, le osterie... tutte scomparse! Al loro posto ristoranti stellati, locali alla moda dove il sir inglese ha fagocitato la lettera “o” del sor romanesco. Il chiosco all’angolo di Ponte Garibaldi non gratta più il ghiaccio come una volta, ma lo frantuma a cubetti per il mojito e i cocktail di ultima trovata. Frotte di turisti si muovono senza sosta come formiche, su e giù per Via del Moro e Vicolo del Cinque, fino a Piazza Trilussa. Qui cantanti e artisti di strada si esibiscono ai piedi della fontana. Delle note di Romolo Balzani neanche l’ombra e il barcarolo romano ormai è davvero controcorrente, fuori moda e fuori tempo. A Bruno sale un groppo in gola, schiva e smarca l’ennesimo turista, cammina e nessuno lo riconosce come lui non riconosce tutto ciò che gli sta attorno. Il quartiere è cambiato, forse anche lui. Ha la sensazione di essere uno straniero in patria, completamente a disagio. Per ritrovarsi decide di risalire Via Garibaldi e lasciarsi alle spalle la movida frenetica del quartiere. Passo dopo passo torna a respirare e il viso è rigato da una goccia che cade. Non è il sudore versato nell’interminabile partita di pallone giocata nel giardino adiacente al mausoleo garibaldino “Roma o Morte”, nè l’acqua refrigerante del fontanone del Gianicolo, ma una lacrima di nostalgia per qualcosa che non tornerà più indietro. Al belvedere del Gianicolo invece tutto sembra immobile, il panorama della città cristallizzato in uno scatto fotografico senza tempo. Il tremolio delle luci in lontananze e i fari delle auto che filtrano tra i platani del lungotevere sono gli unici frammenti di vita percepiti. Anche i gatti sonnecchiano, immobili ai piedi della balaustra. Non stridono nel silenzio della sera neanche le grida acute delle mamme o delle mogli che tentano di parlare con i galeotti di Regina Coeli, dissolte anch'esse nel modernismo virtuale. Bruno è lì affacciato e se ne sta muto senza dire nulla. D’un tratto volge lo sguardo a sx e gli sembra di sentire un coro tenue provenire di rimbalzo dal colle di Monte Mario....”oh forza Bruno, Bruno, Bruno, Brunogoal” e poi ancora un rullo di tamburi e più distintamente “lode a te Bruno Giordano”. In un attimo tra stupore e misticismo le estremità delle labbra si inarcano leggermente verso l’alto in un accenno di sorriso. Il cuore si gonfia e il piede si scalda. Intorno a lui una pigna rotolata lì chissà come dal giardino vicino. Bruno prende la rincorsa, petto in fuori e mento in alto e senza pensarci...boom! Ha segnato Bruno Giordano, un’altra volta... come a Como nel ’76 o a Pisa nel ’84. E’ un calcio alla nostalgia, per la Lazio e per i laziali, per la salvezza e per l’eterna gloria di chi non sarà mai dimenticato.
L’idolo della mia infanzia e per questo immortale, almeno per me!
Bruno Giordano, da sempre “er più”
Matteo Mastrella
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